
Cinemonitor
ESCE “L’ORA DEL CREPUSCOLO”, BALLATA TRA I MONTI APPALACHI(EX MINATORI,SPACCIATORI,“PENTECOSTALI” E NUOVIPOVERI)
20 gennaio 2022
Ci vuole una certa audacia per far uscire nei cinema, di
questi tempi, un film come “L’ora del crepuscolo”. Ma
Stefania Rifiordi con la sua società “Invisible Carpet”
sembra avere le idee chiare, e chissà che, sia pure nelle
difficoltà date, il primo titolo da lei distribuito, al cinema
da giovedì 20 gennaio, non trovi un nutrito ascolto. Per
ora sono poche copie, quasi tutte in provincia, da Ascoli
a Ragusa, da Polignano a Colleferro e Velletri; la
settimana prossima Roma, Milano, Bologna, Napoli…
Braden King, 51enne cineasta indipendente,
documentarista e fotografo, ha tratto “L’ora del
crepuscolo” dal romanzo di Carter Sickels “The Evening
Hour”, purtroppo non edito in Italia. È un mondo
desolato, impoverito, a suo modo struggente, quindi
molto “cinematografico”, quello evocato dalla vicenda. E
cioè i monti Appalachi, dalle parti del West Virginia, un
tempo fiorente zona mineraria, quando si estraeva il
carbone, ora una specie di terra di nessuno, popolata di
anziani murati vivi in case di legno e di giovani che
arrotondano quasi sempre infrangendo la legge.
Cole Freeman è uno di questi. Ha l’aspetto del bravo
giovanotto di montagna, con tanto di giaccone a quadri,
cappelluccio da baseball e vecchio pick-up Ford. Il
trentenne fa l’infermiere a contratto nella casa di cura
della sua cittadina, sulla pagina scritta si chiama Dove
Creek. Tutti gli anziani lo amano e certo lui si fa amare.
Se non fosse che usa quel lavoro, lo capiamo quasi
subito, per procurarsi dei soldi, parecchi soldi. Come?
Comprando a buon mercato antidolorifici e oppioidi in
eccesso prescritti ai pazienti agé per rivenderli in una
lucida logica di spaccio, d’intesa con un trafficante
locale con cappello da cowboy. Cole ha una bella
ragazza, Charlotte, ma c’è qualcosa che non va in lei; e il
ritorno in città di un amico d’infanzia, deciso a gettarsi
in quel brutto giro di droga “da cucinare” in qualche
laboratorio clandestino, peggiorerà decisamente le
cose.
Siamo, per rendere l’idea, tra “Un gelido inverno” che
rivelò la splendente Jennifer Lawrence e la serie tv
“Justified” con Timothy Olyphant: la natura è superba,
ma la vita è grama, sicché non resta, parrebbe, che il
crimine di piccolo cabotaggio. Nel caso di Cole tutto è
aggravato dall’agonia del nonno, che fu fanatico pastore
“pentecostale”, e dal riaffacciarsi a sorpresa della
mamma, a lungo assente nella sua vita.
Non si vede mai il sole in “L’ora del crepuscolo”, e certo la
fotografia a luce naturale di Declan Quinn rende tutto
grigio, livido, freddo, come s’addice a quei panorami
geografici e mentali che sembrano uscire da una ballata
triste di John Prine. Avrete capito: vecchie miniere
cadenti, ettolitri di birra Budweiser, canzoni country,
abitazioni fatiscenti, tatuaggi dappertutto, scazzottate
e pistole, ma anche citazioni dal Vangelo secondo
Matteo (“Tornerò nella casa che ho lasciato, trovandola
pulita e nel giusto ordine”).
Insomma, non mancano i cliché tipici di un certo cinema
di ambiente proletario-rurale, anche se il regista li usa,
forse un po’ allungando il brodo sul piano
drammaturgico ma con partecipe sguardo
antropologico, per raccontare qualcos’altro: ovvero
l’ambigua redenzione del protagonista, nell’attesa di
una parola di carità e misericordia che forse non
arriverà mai.
Purtroppo il doppiaggio italiano non restituisce
neanche un po’ il colorito slang di quelle zone remote,
ma le facce sono ben scelte, a partire da quella di Philip
Ettinger, che fa il tormentato Cole (nel cast anche
l’emergente Stacy Martin e le più note Tess Harper e Lili
Taylor). Musiche ben scelte e non soverchianti, in linea
con l’atmosfera generale, con un po’ di old-time e una
canzone, “The Fading” di Joan Shelley, che viene voglia
di cercare subito in rete per riascoltarla.