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L’ora del crepuscolo

marzo 2022

Variazione sul tema elegia americana: cittadina non più mineraria dimenticata dal progresso, incastrata fra le pareti montuose pittoresche e soffocanti del West Virginia, Dove Creek è lo scenario circoscritto in cui va in scena la vita dal fiato corto e dall’equilibrio precario del giovane Cole (Philip Ettinger, che tiene ancora negli occhi la quieta disperazione del suo ecoattivista suicida in First Reformed – La creazione a rischio). All’interno della comunità Cole si modula su ruoli diversi: è figlio sensibile, partner affettuoso, assistente sanitario premuroso in una casa di cura, e spacciatore light (di antidolorifici residuali) in armonia fragile con il boss locale. Ma il passato col suo aggravio di complicazioni entra dalla porta sul retro nelle vesti mogie di un vecchio amico (l’ottimo Cosmo Jarvis, sulle cui larghe spalle pesava un carico di tragedia già in L’ombra della violenza) che è deciso a persuaderlo a espandere professionalmente l’attività di pusher. Un mattoncino finisce fuori posto e a espandersi, come parabola drammatica vuole, è invece l’effetto domino della cattiva sorte (la morte del nonno, il ritorno della madre con la quale il protagonista è in aperto conflitto relazionale). I propositi sono chiari, ma il film che Braden King, al secondo lungo di finzione, trae dal romanzo omonimo di Carter Sickels non si sposta oltre la registrazione piana e piatta dei fatti; dalla fotografia spenta all’andamento ripetitivo, la ricognizione stessa del decadimento (umano, morale, sociale) è spoglia di guizzi, e il racconto impaginato col pilota automatico.